Le Sirene non sono solo quelle che in-cantano i naviganti facendo loro perdere la rotta, ma sono anche quelle che dopo anni di silenzio sono tornate a sussurrarmi all’orecchio, dopo il tempo in cui mi sono rivolta ai segreti delle antenate prima (Gocce) e al presente incerto dei giovani poi (Zeta).
Riprendo il filo per chi mi conoscesse da relativamente poco, quello stesso filo rosso con cui è stato intrecciato questo costume sonoro e iconico. La foto qui a fianco mi ritrae nel 2018 al Body Rhythm Festival ad Amburgo dove ho portato proprio un estratto di Sirene, una creazione messa in scena in poche ma preziosissime occasioni, necessaria forse più a me che al pubblico, mi rendo conto oggi. Dico questo perché quando ripenso a questo progetto infatti, mi accorgo di come il processo in cui mi sono avvolta in quei mesi, abbia segnato una transizione fondamentale non solo professionalmente, ma anche nella mia vita privata, determinando cambiamenti radicali. Ha fatto circolare tanta energia, vitalità, idee, è stata una solitaria immersione negli abissi, dentro le mie ombre nella scoperta delle mie risorse, mi ha connesso a dimensioni che avrei toccato nuovamente solo anni dopo attraverso strade molto differenti.
Queste foto mi sono arrivate solo pochi giorni fa, ora alla vigilia del mio ritorno in questo prestigioso festival. Sono rimaste a sonnecchiare 6 anni, per tornare oggi a stuzzicarmi e del resto tornando ad Amburgo sarebbe impossibile non rivolgere un attimo lo sguardo indietro confrontando quella che sono oggi con la donna che ero allora. Ma in questi ultimi mesi in realtà, nei modi più inaspettati le Sirene si sono riaffacciate nella mia vita, come a dovermi condurre nuovamente alla scoperta e alla trasformazione.
Esse rappresentano un mito ibrido che per sopravvivere alle epoche e alle trasformazioni culturali si è ibridato ripetute volte, presentando sembianze cangianti e per questo ancora più misteriose. Sono state creature alate, caudate, piumate, squamate, donne-uccello, uccelli-pesci, donne-pesce, uomini-pesce, scimmie-pesci, donne-serpente, ma il nome è rimasto lo stesso ad indicare fondamentalmente la capacità di contenere due nature, congiungerle e sorpassarle, trasformando le diversità in complessità e lasciando aperti il significato e le possibilità.
Un geroglifico che tiene insieme l’umano e l’animale in un’endiadi di perturbante bellezza, dice E.Moro. Un’endiadi: la figura retorica per cui si disgiungono due parole l’una delle quali sarebbe il complemento dell’altra. L’integrazione e il superamento delle categorie e delle visioni.
L’altro elemento sempre costante è la parola (Sirene da Syr / voce-canto) poiché ciò che rende straordiari questi ibridi non è l’animalità ma la parte umana, il logos, il dono di conoscere il passato, il presente e il futuro – come raccontava Omero. Donne in grado di sedurre chi le ascolta – sedurre, da se-ducere, portare lontano da sé, far perdere sé stessi. Donne con conoscenze e capaci di grande malìa, potenti, quindi problematiche.
Per comprenderne meglio le trasformazioni nel corso delle epoche, consiglio i preziosi studi di Elisabetta Moro: una ricerca particolarmente avvincente perché oltre che di storia ed antropologia si serve di letteratura e arti plastiche per ricostruire la genesi di queste creature, poiché immagine e parola, sono due porte della memoria.
Nel 2017 quando cominciai questa esplorazione, della Sirena mi interessavano l’ambiguità e la diversità, il suo essere sospesa tra due mondi e quindi mai a casa, per questo migrante. Oggi ne vedo la potenza nel superamento dei confini e delle forme, l’indefinibilità cangiante, anche per il suo sovrapporsi nel corso delle epoche e delle culture ad altre figure femminili determinanti e “scomode”: divinità, sacerdotesse di culti, sciamane, lamentatrici funebri, guaritrici.
Presto vi mostrerò cosa le Sirene sono tornate a sussurrarmi alle orecchie…