Tempo per la lettura: 5 minuti
Pratiche di libertà
_DSC9054 copia

Sono stati solo quattro giorni, ma le trasformazioni sono state evidenti sotto i nostri occhi e significative.

Insegnare – dice bell hooks – è condividere la crescita intellettuale e spirituale degli studenti.
Non produrla, non assistere a, ma con-dividerla, farne parte ed esserne influenzat*, sostenerne il peso e coglierne i frutti.

Era già accaduto per Gocce e si è verificato di nuovo con Zeta, come gli ultimi. All’inizio penso ad uno spettacolo, ma poi desidero una pluralità di voci e corpi, così concepisco un dispositivo artistico che non permetta solo l’azione partecipativa di un gruppo amatoriale al fianco dell* performer, ma che crei comunità, che inneschi trasformazioni, che porti un cambiamento concreto nelle vite dell* partecipanti e di chi è loro vicino. In questo caso un ponte tra generazioni, uno spazio per far sentire la propria voce, quella che a furia di non essere ascoltata dall’esterno, viene silenziata anche alla propria coscienza.
Questa formula, come se a un certo punto fosse l’unica possibile, ha spinto per farsi strada prima ancora che la pensassi, certo complicandomi la vita, nella gestione di uno spettacolo che è sempre diverso in ogni luogo, pronto a cambiare forma per accogliere diversi innesti, dialogando con pubblici differenti, registri, età, lingue, pratiche. Ma dialogando con un’altra persona si apre la possibilità di cambiamento dentro di noi.
Questo modo di fare teatro – relazionale, necessario, sociale o comunque lo si voglia chiamare – per me è arrivato come conseguenza delle mie precedenti esperienze, non tanto di quel teatro che si definisce di comunità ma si impone dall’alto, ma dei miei tanti interventi in ambito didattico negli ambiti più disparati lavorando con carcerati, seconde generazioni, sordi, bambini con bisogni speciali, disabili, professionisti, terapeuti, aspiranti artisti, anziani, ragazzi a rischio dispersione scolastica etc. Ognuno di loro mi ha spinto a destrutturare e rivedere il mio approccio, non solo muovendomi fuori dalle strutture educative convenzionali, ma trovando un ponte per comunicare, un ponte che fosse percorribile da entrambe le parti in entrambe le direzioni. Così la classe diventa un luogo capace di sostenere la vita ed espandere la mente, un luogo di reciprocità liberatoria in cui insegnante e studente si impegnano a collaborare.

Il teatro mi ha permesso di tenere insieme tutti i pezzi dei miei tanti ruoli, delle tante parti di me. Ho pensato a lungo che le varie esperienze si annullassero a vicenda: “se ripieghi sull’insegnamento sei meno autentica come artista”, “se vivi grazie alla didattica non ti puoi definire danzatrice”. Questa forma di teatro invece ha reso possibile superare queste credenze e rigidità, le esperienze non si escludono ma si sommano, dando luogo ad un approccio non lineare, trasversale, multidisciplinare, più ricco, in cui convivono la danzatrice, la regista, l’insegnante, la musicista. E così a superare le credenze di chi partecipa, poichè cambiando continuamente attività e canale tutt* sono in grado di trovare uno spazio adatto alle proprie inclinazioni. Già al suo debutto anche Zeta, come Gocce, mi ha confermato che il processo prende più rilievo del risultato.

L* ragazz* il primo giorno non sapevano neanche cosa si dovesse fare, era solo una scusa per non stare sedut* in aula e saltare lezione. La soglia dell’attenzione durava poche decine di minuti, la coordinazione era incerta e i bisogni fisici (la sete, il bagno, il dolore ai piedi, alle mani, la fatica, il caldo) erano distrazioni frequenti, anzi alibi irresistibili per sottrarsi ad un’esperienza nuova. Poi è arrivata l’idea di dover imparare delle sequenze e per qualcuno l’orgoglio di essere in scena, essere visti, essere protagonisti. Si parlavano sopra, non ascoltavano, erano molto nella competizione e nel giudizio, sia di sé che degli altri, auto-screditandosi prima che potesse farlo qualcun altro. Nel mentre sono arrivate nuove abitudini, piccoli riti che scandivano le nostre sessioni: giochi per la centratura e l’ascolto, ma anche molti spazi di parola, in cui potersi raccontare a diversi livelli. Spazi che nel quotidiano – degli adulti come dell* giovani – sono erosi dal fare, dal produrre, dalle scadenze. Così al telefono ormai ci chiediamo “dove sei?” o “cosa fai?” e non più “come stai?” perché in fondo se qualcuno davvero ce lo dicesse, forse non saremmo pront* ad accoglierne la risposta.

Mai differenza mi fu più evidente assistendo alle telefonate tra mio marito – del Mali – abituato al lungo rituale dei saluti, fatto di parecchie formule, prima di poter accedere a qualunque conversazione, e sua suocera, che riconoscendo l’interlocutore sul display esordiva con un secco “Dimmi”, saltando a piè pari ogni convenevole, dando per scontato che chiunque avesse composto il numero fosse anche pronto.

E così al quarto giorno ci si dimenticava di bere, le pause si minimizzavano perchè erano l* ragazz* stess* a chiedere di poter provare le loro parti e alcun* hanno deliberatamente scelto di rinunciare alla coreografia – forse la parte più coinvolgente – per potersi sperimentare nell’interazione con il pubblico adulto, momento in cui era richiesta loro molta responsabilità, cura, autonomia, un momento che simbolicamente rovescia i piani di potere, dando all* più giovan* la conduzione del gioco nella totale fiducia.

L’aula è uno degli ambienti più dinamici proprio perché ci viene dato poco tempo per fare molto. Per svolgere il proprio compito con eccellenza e grazia, chi insegna deve essere completamente presente nel qui e ora, prestando la massima attenzione e concentrazione. E dare totale fiducia al processo – aggiungo io alle parole di bell hooks. Il gruppo lo sente che ci credi, questa fiducia diventa certezza e apre il cammino verso il risultato.

Sono stati solo quattro giorni, ma le trasformazioni sono state evidenti sotto i nostri occhi e significative. Momenti di autodeterminazione, scoperte, raggiungimenti: “Pensavamo di non farcela e invece ce l’abbiamo fatta tutti” (M.L.,11 anni). E ammetto che anche noi “grandi” all’inizio abbiamo vacillato: a volte è più facile lasciar andare, che provare nuove strade. Invece vale sempre la pena di provare.

I sociologi descrivono le nuove generazioni come una parresia. Questo concetto foucaultiano indica coloro che cinicamente ci dicono la verità che non vogliamo sentire. Esse incarnano cioè estremizzandole tutte le dinamiche che ci riguardano e che riguardano il nostro tempo: la competitività, i valori mutuati dalla cultura neoliberale, la dipendenza dai dispositivi elettronici, la crisi del sistema scolastico, la crisi del sistema famigliare, l’insicurezza per il futuro e anche per il presente, l’incapacità di fare piani a lungo termine etc. Ma in un gioco di potere è facile puntare il dito è definirli svogliati, solo alla ricerca di successo e soldi, senza valori etc. Così gli stereotipi e le etichette sono diventati centrali nella nostra ricerca e nel nostro spettacolo: amplificarli, smantellarli, mettere il pubblico di fronte all’evidenza, fino ad annullare questa distanza. Ma non voglio svelare troppo a riguardo, altrimenti vi tolgo la sorpresa di venire a vederci dal vivo e partecipare!

Sono stati solo quattro giorni e non abbiamo cambiato il mondo, né le vite di quest* ragazz*, ma abbiamo mostrato che ci sono altre vie percorribili e altri punti di vista possibili. E se questa esperienza è stata possibile – va detto – è stato per il supporto dei docenti, della scuola, delle famiglie, del festival, dei centri di produzione e del prezioso contributo dei miei collaboratori: Chiara, Lorenzo e Giorgia.

Se volete portare il progetto nella vostra scuola o nella vostra città, non esitate a contattarmi. Accoglieremo la sfida con entusiasmo!

Citazioni da Insegnare comunità di bell hooks
Foto di Nicola Cirocchi e Angela Spizzirri, durante Umbria Danza Festival, Perugia

Potrebbe interessarti

26 Aprile 2024

COLLAB – ZETA

Ci teniamo che Zeta possa essere un progetto che offre opportunità a diversi giovani talenti, si tratti di performers, di musicisti, di fotografi, videomaker...

20 Gennaio 2024

AUDIZIONE – ZETA

Il progetto ZETA COME GLI ULTIMI cresce e si allarga alla ricerca di un performer REQUISITI: – ETA’ reale o scenica tra 18 e...