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Quando vado a prendere B. a scuola, alle sue compagne che le chiedono chi sono, lei ridendo risponde: “Non lo so, una-tipo-zia”. Perché sono un po’ di famiglia ma non sono una parente. Difficilmente inquadrabile, io la vedo come la mia piccola amica. Così ieri eravamo a pranzo in un bar, quando le è arrivato un messaggio, in cui un compagno la invitava a casa per i compiti. Le brillano gli occhi. Mi fa vedere la foto profilo. Lui è un giusto: sportivo, occhi svegli, bel sorriso. Io approvo. I genitori intravedono arrivare i travagli dell’adolescenza alle porte e suggeriscono scherzando un trasferimento in un collegio femminile.
La sera lo racconto a Issiaka, colpita da quanto B. stia crescendo in fretta. Lo attraversa un pensiero. Indovino che mi stia per dire che in Africa a 12 anni si è già delle donne, piene di responsabilità e a volte già vicine al matrimonio. Invece mi parla di Nene, sua sorella maggiore. “Lo sai com’è andata? Era a scuola, era il periodo degli esami. Le hanno mandato qualcuno per avvertirla che a casa la stavano aspettando. E’ rientrata, attraversata da chissà quanti pensieri, ma di sicuro senza immaginarsi la realtà. Le anziane l’hanno lavata, le hanno dato i loro consigli, l’hanno vestita e quella sera stessa si è sposata. Mesi prima un uomo era venuto a casa per combinare il matrimonio di suo figlio. I due giovani non si erano scambiati né uno sguardo, né una parola. Né alcuna parola a riguardo era stata detta a Nene dai nostri genitori. La sua opinione non contava. I figli da mantenere erano tanti. Lei era grande abbastanza. Così non ha neanche finito gli studi … a che serviva?!

44023938_10158323149622228_8814819951496921088_oUna ragazzina la mattina va a scuola e la sera si ritrova in casa di sconosciuti, a dormire con un uomo di cui non sospetta neanche l’esistenza. Nene è più giovane di me. Non parliamo di un secolo fa. Non parliamo di un paese arretrato. Oggi ha 6 figli e un suo piccolo commercio. E’ una donna accogliente, piena di cura per tutti. La immagino quel giorno. Di fronte a questi racconti, a cui non mi abituo mai, le mie domande hanno sempre e solo una risposta: sorride, scuote la testa e “ Tu non capisci, si usa così”.
Una cosa ci è chiara, a me e a Issiaka. Abbiamo avuto un privilegio, sconosciuto nelle nostre famiglie. Ci siamo scelti.

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