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CONTRADDIZIONI IN DIVISA
tirallieurs

La realtà a volte si ripiega su stessa, assumendo forme che si possono solo chiamare contraddizioni e queste possono essere spiegate unicamente guardando al passato. Per capirle davvero però non è sufficiente voltare lo sguardo indietro, ma bisogna mettersi a testa in giù, invertire completamente la prospettiva, infilandosi nei panni altrui.

“prima di giudicare un uomo cammina per tre lune nelle sue scarpe ” (proverbio sioux)

Il mio primo viaggio in Africa fu in Burkina Faso “il paese degli uomini integri”, terra accogliente, piena di colori e sorrisi, celebrazioni e musica. Un giorno mi sono fermata ad una bancarella per comprare dell’anguria per i bimbi della famiglia che mi ospitava.
–        Quanto costa? , chiedo alla ragazzina che la vende
–        1000 CFA ma per te 2000
Per te, significa per te che sei bianca. Bene, questa è la nemesi post colonialista, penso, in fondo ci meriteremmo di peggio

mercato-africano-scena-malawi-africa-b3ha7tUn paio di giorni dopo accompagno al mercato una delle ragazze di casa. Sono rapita dagli ortaggi così diversi dai nostri : frutti di karitè, melanzane amare, foglie di arachidi, sacchi di fiori di ibisco, spezie e condimenti. Non colgo subito, sono lì da pochi giorni, capisco poche parole di djoulà, ma tutti gli ambulanti, mentre ce ne andiamo urlano: Grazie bianca! E realizzo solo poco dopo che non è un eccesso di cortesia. La mia presenza aveva giustificato per loro un improvviso aumento dei prezzi, una sorta di white tax: più hai, più puoi pagare. Se sei amico di una bianca, hai i mezzi. Mi sono sentita così in colpa per averle fatto spendere il doppio solo per la curiosità di accompagnarla. Anche in taxi c’è un “supplemento”. Ai posti di blocco. Su ogni acquisto. Tanto per me – la bianca – che per mio marito – lo straniero – perché lui ormai non è più considerato africano.

Ma il colonialismo ha lasciato tanti altri strascichi, non solo nella vita, ma anche nel pensiero di molti africani. Mio marito conferma: per “noi” un bianco è già più intelligente, pensiamo subito che quello che dice e fa sia giusto, perché probabilmente ha studiato, perché è meglio di noi. Questo ci hanno inculcato e questo è rimasto come retaggio tramandato da generazioni. Non siamo più in grado di dare un valore alle nostre conoscenze, conoscenze di altra natura. La mia generazione si è persa, si è staccata dalla tradizione ma non ha accesso alla modernità e all’emancipazione.
La stessa cosa accade verso chi veste una divisa – che non per niente indossavano sia i colonizzatori che i loro collaboratori locali – “Noi” pensiamo che abbiano ragione a priori e che se ti si avvicinano è perché hai fatto qualcosa. E a quel punto dilaga il panico e la strada è spianata ad ogni abuso di potere. Pochi africani si preoccupano di conoscere i propri diritti e di farli valere. Si lasciano fare qualunque cosa.

All’epoca, la migliore garanzia per ottenere qualunque cosa senza fatica e permettere qualunque abuso senza punizione, era di avere la pelle bianca, o il fatto di essere un bianco-nero, cioè far parte dell’amministrazione coloniale

Amadou Hampaté Ba, riferito ad un episodio del 1920 

docuImmagina un uomo che vive in una realtà rurale, probabilmente contadino, pastore o piccolo commerciante, probabilmente analfabeta. Dal suo villaggio deve recarsi in città per fare un banale documento, ma poiché non è in grado di gestire un’operazione simile da solo, non sa leggere, ha per forza bisogno di affidarsi a qualcuno. Qualcuno che ovviamente farà i propri interessi speculando e procrastinando l’operazione, raccontandola difficile e costosa. Se non sarà il suo intermediario, sarà l’impiegato dell’ufficio a farglielo credere. Perché in un paese in cui si vive arrangiandosi ogni pretesto diventa un’occasione. Così per una marca da bollo e un timbro, invece di 1000 CFA e un giorno di attesa, passano settimane, forse mesi e le migliaia di CFA si moltiplicano.

Molti dei migranti che arrivano oggi in Italia in cerca di un futuro migliore imparano a leggere e scrivere qui, in una lingua ostica e non familiare. Non sono mai stati in una grande città. Immaginate il potere di una divisa su di loro. Di un bianco in divisa.

L’altro giorno ero fuori dal teatro aspettando i miei colleghi di lavoro. Passa una volante. Non scendono neanche e mi urlano: “Ce li hai almeno i documenti?”. Non esattamente un esordio amichevole. Mi tolgo le auricolari e gli occhiali da sole in segno di rispetto, metto il telefono in tasca. Mi chiedono di dargli il telefono, vogliono vedere la marca. “L’hai rubato? L’hai comprato? Dove l’hai comprato? Quanto ti è costato? Dobbiamo sapere se davvero l’hai comprato…e cos’altro hai in tasca? Svuotale!”. Quando gli faccio notare cortesemente che sono tenuto a dar loro i miei documenti per un controllo , ma non certamente a fare quanto chiedono a meno che non ci sia un’accusa precisa, mi rispondono che se non mi sta bene posso tornare al mio paese. Insistono aggressivi, abusando del loro potere, ma non mi piego. Quando si avvicinano dei ragazzi con una videocamera , si agitano rimettono in moto, e andandosene mi urlano minacce di denuncia (di cosa????). Io conosco i miei diritti. Ho studiato. Mi sono informato. Ma tutti gli altri???
Mi chiama e mi racconta quanto appena successo. Parla veloce, agitato. Mi agito anche io. Perchè penso sempre che coi tempi che corriamo il suo permesso di soggiorno è appeso a un filo, gli raccomando tutti i giorni di stare attento, di restare calmo, di non reagire. Perchè purtroppo anche solo far valere i propri diritti, con le persone sbagliate, potrebbe costargli caro. Mi preoccupo esageratamente per ogni ritardo. Gli ripeto spesso che non è solo, che ha una famiglia ora. E penso tristemente che abitiamo nella città famosa per la mattanza della Diaz, i cui aguzzini non solo sono impuniti, ma continuano a ricoprire i loro incarichi, e alcuni sono stati pure promossi.

Erano sempre ben vestiti, ricchi, forti, sicuri della loro autorità, con loro tutto sembrava giusto e buono. (…) Ma in seguito, i soldati neri che avevano fatto la guerra in trincea con loro avevano visto degli eroi, ma li avevano anche visti piangere, gridare, avere paura. Nelle città dei bianchi avevano visto dei bianchi poveri, dei bianchi mendicanti, dei bianchi storpi. Avevano scoperto che erano uomini come loro, con le stesse qualità e gli stessi difetti. Ma avevano anche scoperto che la loro pensione di guerra valeva meno della metà di quella dei loro compagni bianchi (…) e fu in quel momento che cominciò a soffiare un vento di rivendicazione ed emancipazione. 1919

Amadou Hampaté Ba

Amadou-Hampâté-Bâ

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