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La capra che suona*
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Il ritmo da sempre è al centro delle mie pratiche e della mia ricerca, declinato in tanti aspetti:
le danze percussive,
la percussione corporea,
il ritmo come elemento rituale,
la ciclicità degli eventi, del corpo, della natura,
lo studio delle percussioni tradizionali di varie culture,
l’influenza del ritmo sugli stati emotivi e corporei,
il ritmo della voce,
il ritmo dei gesti,
il ritmo delle immagini
e sicuramente molto altro ancora.

Tra le tante possibili forme musicali, la percussione è forse la forma più arcaica, riproduce all’infinito e su ogni superficie il battito del cuore, palpita, vibra, dà voce alla pulsazione dell’universo.
Battere i piedi è bussare alla terra,
chiamarla a risvegliarsi nella sua ciclicità.
Rendere tamburo il mondo.
Radicarsi.

Usare il proprio corpo come strumento sonoro:
battere le mani, strofinare i palmi, battere sugli avambracci e le cosce.
Come strumenti minimi l’acqua, i sassi, le verghe, una pelle tesa (…)
inventarne alcuni, consapevoli dell’importanza della materia nella quale sono fabbricati,
poichè devono agire sul simile col simile, quasi in accordo al principio dell’omeopatia
.
Musica strega – Meri Lao

E così nella mia ricerca e sperimentazione non solo corpo e body music, ma anche legno, conchiglie, chiavi, tappi, plastica, acqua e i materiali più improbabili, saper immaginare suono poetico tra gli scarti del quotidiano (vedi Batà, Solo Sol Eau, Sirene) e poi indubbiamente lo studio delle percussioni tradizionali, a cui ancora sto imparando a dar voce.

Nelle lingue bamana e malinkè per indicare l’azione di suonare uno strumento
si usa il verbo fò/dire nel senso di far parlare, dargli voce.
Chi suona, si fa canale e strumento a sua volta per accoglierne la parola e diffonderla.
E spesso porta messaggi della voce degli antenati.

Nelle società dell’antico Impero Manden (attuali Mali, Niger, Burkina Faso, Guinea, Senegal, Costa d’avorio, Guinea Bissau, Gambia), se il griot (djeli) è l’artigiano della parola, il forgeron (noumou) è l’artigiano del metallo e della materia. Il forgeron non è solo un fabbro, ma come Efesto, nella sua fucina, fabbrica, crea, forgia armi, anima oggetti e in questo caso dà vita a strumenti musicali, mentre il griot dà loro la parola. Per questo tra le due caste c’è un’alleanza e spesso il loro ruolo a livello sociale si sovrappone con confini decisamente sfumati.

Da tempo desideravo un tamburo a cornice, ma sapevo che non poteva essere uno qualunque, ma che doveva uscire dalle mie mani. Così ho chiesto ad un Maestro – e amico –  di guidarmi nella costruzione – un musicista straordinario, polistrumentista, fabbro e grande sperimentatore: Tomas Milner.

La cosa che più mi attira e piace, e che lo rende mio, è ogni suo difetto: la cicatrice di una ferita della capra, l’impronta della sua spina dorsale, le macchie del pelame, le grinze ai lati per come ho steso la pelle, le venature del legno; tutto quello che se riguardasse il mio corpo giudicherei o cercherei di aggiustare. Invece qui è ciò che lo rende unico e solo mio. Mi ricorda il processo di lavorazione, i passaggi, le caratteristiche intrinseche – come le cicatrici testimoniano le esperienze superate.

Tamburo è sostantivo maschile, ma per me questo è femmina, è una luna piena, magnetica e mutevole, con una voce profonda, di pancia, che dà voce ad una parte antica e saggia, il suono delle viscere della terra. E viscerale è il rapporto con lo strumento che accarezzi, abbracci, bussi, percuoti, interroghi, culli e soprattutto che hai costruito con le tue mani, dalla pelle che da dura membrana si fa velluto nel processo di ammollo, all’abbellimento della cornice con una passamaneria dorata, una corona di luce.

Si apre ora un’altra strada, un percorso nuovo che comincio in punta di piedi, che per il momento si dipana in parallelo ma che spero possa ricongiungersi con gli altri passi già fatti e le altre impronte disseminate.

Per chi non lo conoscesse consiglio il bellissimo corto FOLI, un appassionante mini documentario per vedere forgerons e griots in azione, dalla creazione dello strumento alla “danza degli uomini forti”.

*Il titolo La capra che suona allude all’omonimo libro di Antonello Ricci e Roberta Tucci, dedicato ad immagini e suoni della musica popolare in Calabria

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